di Dario Pio Muccilli
Non so se ci si renda conto delle immense tensioni sociali che questa ondata di DPCM, lockdown e ordinanze regionali stanno alimentando. Eppure i segnali ci sono e ci sono stati, nelle piazze in escandescenza in tutta italia contro l’aumento delle restrizioni che paiono non cessare mai.
I disordini sono avvenuti anche nella nostra Torino e se ne prospettano altri se l’incertezza dei nostri tempi continuerà senza che nulla venga fatto per calmare la rabbia sociale montante nelle periferie dalle quali scriviamo e nei singoli lavoratori che rischiano la sopravvivenza stessa delle loro famiglie.
Fino ad oggi infatti a gettare sassi e molotov saranno pur stati solo estremisti, ma cosa succederà quando il blocco dei licenziamenti verrà tolto e i soldi della cassa integrazione finiranno o quando la gente chiusa in casa morirà di fame? L’economia non sarà più drogata artificialmente e ci troveremo allora magari un 30-40% di disoccupati che dubito vorrà usare chissà quale premura nei confronti del governo centrale. Perché sì, la violenza bruta fa male ed è da condannare, ma esiste una altra forma di violenza più subdola negli stipendi che mancano, nel ricatto della precarietà e nel bisogno di arrivare a fine mese.
Isoliamo i facinorosi, arrestiamo i criminali, difendiamo la polizia – “figli di poveri” li chiamava Pasolini – ma se condanniamo quella violenza, condanniamo anche l’altra, quella di uno stipendio che manca, altrimenti ogni nostro intervento suonerà ipocrita e privo di solidarietà verso chi davvero soffre e non va a rubare i pantaloni da Gucci in via Roma, ma magari il pane o la pasta all’MD.
Quando la gente non si sente compresa, quando il popolo ha fame, ma tra i potenti si guarda ad altro, ai casseurs o alle curve dei contagi senza risolvere i problemi sociali, il popolo finisce quasi sempre per solidarizzare coi casseurs e, sentendo i discorsi più comuni in giro, anche per negare completamente la pericolosità di ogni virus.
Non è oggi il tempo del perbenismo, condannare chi viola il contenimento o da vita a rivolte violente per le strade non basta per trovarsi apposto con la propria coscienza.
La gente ha paura e la paura può trasformarsi in rabbia se non viene opportunamente trattata con ragione e solidarietà sociale. Se non lo capiamo adesso, potremo capirlo troppo tardi.
Inoltre spaventa come si chiudano porte (quelle di interi territori e attività commerciali), ma non si aprano affatto portoni e tanto meno porticine, perché, pur volendo, manca una seria idea di quale futuro vogliamo raggiungere.
Il virus passerà e con lui l’emergenza sanitaria, ma le disuguaglianze sociali rischiano di rimanere immutate, se non peggiorate, da questo continuo rincorrere il virus senza badare affatto alla salute mentale, finanziaria e sociale dell’Italia, che non può essere ancora una volta unita solo sui balconi ad urlare “Ce la faremo”.
La politica lo capisca, il giornalismo faccia lo stesso e la si smetta di essere moderati laddove non serve e irremovibili dov’è inutile e dannoso esserlo, perché come si è visto le piazze sfuggono a questi ragionamenti di palazzo ed il popolo, menomale s’intenda, non è soltanto una percentuale nei sondaggi politici pubblicati da Mentana ogni lunedì.
Certa gente sbaglia a ignorare le distanze o gli obblighi di mascherina imposti dai palazzi del potere, ma chi stà lì si sbrighi a scendere.