Giulia Ponte
La fine della Grande Guerra inaugurò una nuova epoca pronta a lasciarsi indietro gli orrori del conflitto per avviarsi verso un innovativo stile di vita. Si respirava desiderio di innovazione e libertà dai vincoli della società precedente convenzionale e rigida. Il mutamento doveva essere radicale, era la visione del mondo a pretendere di essere diversa, la società chiedeva con insistenza che la realtà intorno a sé si modellasse per rispondere ai nuovi ideali e si accoglieva con fiducia un prospero futuro. Mentre in Europa si sentiva il peso postbellico, in America tutto parlava di ricchezza, vitalità e cambiamento. Gli anni ’20, noti come anni Ruggenti, furono il cuore di una nuova energia ed eleganza e all’affermarsi di un nuovo modello di donna e di uomo faceva da colonna sonora l’avvento del Jazz. Questo genere musicale era espressione della comunità afroamericana vittima dell’emarginazione di una società incoerente che ricercava il cambiamento ma profondamente chiusa in una visione conservatrice sulla diversità. Favorevole all’improvvisazione e alla libertà dagli schemi, il Jazz, commistione di diverse melodie e ritmi, non richiedeva nessuna comprensione ma solo di essere ascoltato lasciandosi trasportare dai suoni coinvolgenti. Nuova musica e quindi nuovo modo di ballare, il Charleston esplose nella cultura americana e come il Jazz si diffuse poi in Europa, constava di movimenti veloci di gambe, piuttosto caotici e frenetici, libero dalle regole e dalle ingessature tipiche di altre forme di danza. La gente apprezzava questo approccio diverso, si sentiva trascinata, sfrenata, allegra, e soprattutto la donna dimostrava la sua volontà di emergere, la sua energia, si inseriva nel contesto sociale come un soggetto tutto nuovo pronto a ricoprire un ruolo forte nel mondo. Josephine Baker, famosa ballerina e cantante, fu il simbolo di questa fusione tra il Charleston e l’emancipazione femminile, trasmetteva una eleganza tutta nuova, talento e uno stile di forte impatto. Il sentimento dell’epoca si alimentava grazie al contributo delle innovazioni tecnologiche che cambiarono il sistema della comunicazione, del cinema soprattutto hollywoodiano, la società diventava sempre più massificata, i beni costituivano oggetto di desiderio e di piacere generale. Le persone si reinventavano, le donne accorciarono i capelli e l’orlo delle gonne, fortificavano la loro immagine suggerendo sofisticatezza ed eleganza con trucco e accessori. Era il momento delle flapper girls, figure femminili rivoluzionarie che si concedevano al pubblico in abiti spesso tipicamente maschili, guidavano la macchina, fumavano, suggerivano al mondo temerarietà e indipendenza. Olive Borden, conosciuta come “The Joy Girl” e Clara Bow furono attrici esemplari di questi anni ruggenti, sprigionavano bellezza, stile e divertimento. L’eccessività e la sregolatezza aiutavano a liberarsi dai ricordi della guerra e attraevano le persone comuni che trovavano nei primi “divi” del cinema, quali Rodolfo Valentino e Douglas Fairbanks, fonti di ispirazione. Si divulgavano in questo modo modelli di forte virilità, uomini di forza fisica e attraenti cui appartenevano classe, fascino e raffinatezza. Non che tutto ciò la rendesse una società esemplare, nascondeva dei lati oscuri come delle incoerenze. In Europa nel primo dopoguerra sono nate le dittature fascista e nazista e in America era diffuso un forte sentimento discriminatorio. Con gli anni Ruggenti ci fu l’avvento della prima massificazione e del consumismo i quali sono oggi ancora più incisivi e hanno snaturato e confuso la stessa mascolinità e femminilità. L’attuale televisione, musica e moda riflettono la perdita di quella eleganza pura, della classe, del divertimento sano e spensierato, ci si presenta così una società insoddisfatta, che ostenta un lusso volgare e in cui la stessa identità delle persone e l’essere uomini o donne entrano in crisi. Il momento ludico era prima un divertimento collettivo, genuino e vero la gente desiderava condividere momenti di leggerezza e la reciproca compagnia aumentava la piacevolezza di quegli attimi. Oggi, invece, è l’individualismo ad essere elemento intrinseco di una società chiusa in cui ognuno mette al centro il proprio “io” e la noia generale spinge verso la ricerca di nuovi stimoli che conducono soprattutto i più giovani a forme di divertimento malsane e frivole. Ecco come i social network e la brama di attirare attenzione su se stessi incidano anche sul significato del successo. Essere celebri oggi è piuttosto insignificante, capitano sotto i nostri sguardi modelli e personaggi cosiddetti “famosi” il cui contributo è solo quello di veicolare idee dozzinali attraverso l’esposizione del proprio corpo come in una vetrina. Chi ha vissuto la pienezza di quei tempi precedenti rifletterebbe con malinconia su quel fascino e quella sofisticatezza totalmente o, almeno, parzialmente perduti e scorrerebbe con lo sguardo le immagini di questa società che, nella positività del progresso in ogni campo e delle conquiste che si sono succedute per l’evoluzione del nostro mondo, distorce l’identità delle persone e sfuma il senso giusto e autentico di ciò che la circonda.