LIBERO PENSIERO IN LIBERO SOCIAL (?)

Francesco Lobusto e Giulia Ponte

Libertà. Che conquista straordinaria. Pronunciamo questa parola come se prendessimo una boccata d’aria fresca, ma se per un istante ci soffermassimo a pensare che cosa significhi essere liberi nel mondo dell’informazione, probabilmente chiuderemmo la bocca. Libertà di informazione e libertà di espressione si tengono per mano e in una realtà come quella attuale, dove siamo circondati da un eccesso di notizie, tutti paghiamo il caro prezzo della disinformazione e dell’incertezza. Attualmente, divulgare informazioni è un potere che si strappano di mano un po’ tutti, e così, tra giornali, televisioni e social network, abitiamo tra verità e falsità, che nella maggior parte dei casi non siamo in grado di distinguere. 

Il primo primo problema è la libertà di espressione. Chi l’avrebbe mai detto che la libertà sarebbe stato un problema da risolvere, eppure se tutti possono fare tutto e, quindi, divulgare informazioni è un diritto che spetta alla massa, la competenza cede il passo all’incompetenza. Infatti, non è raro imbattersi in notizie completamente divergenti tra loro, proprio perché chiunque, anche chi è convinto di sapere pur non sapendo, si arroga il diritto di sentenziare. E così arriviamo al secondo problema: la molteplicità delle fonti.

Noi abbiamo il dovere di usare la nostra intelligenza per filtrare e selezionare le informazioni che riceviamo, impegnandoci a cercare quelle corrette. I giornali affermati sono la dimostrazione che avere una comunicazione pura è ancora possibile, altrimenti sarebbero falliti da tempo. Ma la situazione si complica se accanto ai giornali accostiamo televisione e soprattutto social network. Questi, come altri sistemi di comunicazione, funzionano sulla base di algoritmi che profilano noi utenti in modo tale da riproporci contenuti identici o comunque analoghi ai nostri gusti, alle nostre idee. Alla fine, viviamo in quelle che sono chiamate “echo chambers”, bolle di pensiero in cui le nostre convinzioni riecheggiano e noi ci sentiamo rassicurati, convinti di avere la verità tra le mani. Non per altro vale la pena di sottolineare che social e tv sono considerati (erroneamente) i mezzi di informazione più affidabili.

Questo crea due ulteriori problemi. Da un lato, la bolla in cui veniamo rinchiusi esclude il nostro diritto all’informazione, proprio perché elimina il diverso. Dall’altra, impedisce il dialogo alla radice. Immaginate di essere in una stanza con persone che condividono il vostro stesso punto di vista su un determinato argomento: quello che sentirete è solo un’eco del vostro pensiero, non c’è confronto, non c’è nulla da mettere in discussione. La bolla preclude lo scambio delle idee, preclude la ricerca della verità. Abbiamo disimparato ad informarci, e dunque a confrontarci con il diverso, e a porre le giuste domande. È questo il terreno fertile per le fake news, che circolano all’impazzata e non di rado trovano sostenitori che ne alimentano i contenuti. Umberto Eco diceva: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Il discorso si aggrava se gli imbecilli sono personaggi importanti, ma soprattutto quando gli imbecilli diventiamo noi. Non fraintendetemi: imbecille deriva dal latino e significa “claudicante”. In questo contesto, sul piano della conoscenza. Cessiamo, dunque, di zoppicare nel sapere, mettiamo tutto ciò che ci viene proposto in discussione: solo così possiamo far scoppiare le bolle in cui veniamo soffocati. Non provate conforto nel sentire che sono tutti d’accordo con voi, ma nel sapere che c’è ancora qualcuno che la pensa diversamente.

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